Già qualche anno prima della Grande Guerra la caffettiera “Adele” prodotta dalla Fratelli Santini di Ferrara permetteva di preparare due tazze di fumante caffè fuori dalle mura di casa. Caricata la macchinetta con acqua e macinato di caffè, qualsiasi sparuto luogo all’aperto poteva trasformarsi velocemente nel salotto desiderato. La caffettiera ingloba in sé le necessarie tazze in un perfetto incastro alla sua base e, naturalmente, il fornelletto con la pastiglia di meta per scaldare l’acqua e avviare il processo di estrazione a “Pressione di vapore”. Pochi minuti e il piccolo “bussolotto” (circa Ø 6 x h.15 cm) in ottone nichelato riversa direttamente il caffè in tazza dal suo beccuccio di sommità.
Prima che gli ultimi anni di Belle Époque cedessero il passo alla tragedia della guerra mondiale e al Secolo Breve, la relativa prosperità di alcune classi sociali era scandita anche da riti modaioli come bere una tazza di caldo caffè, espressamente preparato sul prato dell’ultima gita. Possiamo immaginare la scena come una sorta di “Le déjeuner sur l’herbe” di Édouard Manet, ma con caffettiera al seguito!
Alla caffettiera “Adele” si affiancarono poi altri apparati simili – per materiali, forme e sistema di funzionamento – come il modello “Sport” prodotto dalla Figli di Silvio Santini; la Stella modello “S” prodotta dalla Officine Metallurgiche di Gino Sgarbi e Girolamo Chiozzi e, ancora a Ferrara e dintorni, il modello “Vittoria” prodotto dalla Metallurgica Brandani & C.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento Ferrara fu frenetica fucina per numerose aziende che cominciarono a operare nella produzione di macchine da caffè, alcune di loro raggiungendo notevole rilevanza a livello nazionale. Aziende che per molto tempo elevarono Ferrara a capitale industriale di questo settore.
Il fenomeno sociale di preparare e gustare una tazza di caffè all’aperto si rafforzò nel periodo a cavallo delle due Guerre, ed esplose poi in Italia con il “boom economico” degli anni Cinquanta e Sessanta, fin tanto che il numero di locali pubblici e bar divenne così diffuso e capillare sul territorio da sopperire senza rimpianti ai “caffè fai da te”.
Moda e modernità divennero quindi gustare un “espresso” ai tavolini o al bancone di un bar, preparato con macchine nuove e potenti che per la prima volta nella storia estraevano “crema-caffè” mai bevuti prima.
Evoluzione, emancipazione e progresso non risiedevano più nel preparare caffè ovunque con piccole caffettiere ad alcol, ma vivere la scena con le due nuove protagoniste di metà Novecento: l’elettricità e l’automobile.
Se in tutte le abitazioni arriva l’elettricità e gli utensili per i lavori domestici e la cucina si trasformeranno in elettro-domestici, in alcune automobili entra invece la caffettiera: prestigioso accessorio a uso esclusivo del nuovo ego della motorizzazione di massa.
Le “moderne” automobili di quegli anni sono sempre più affidabili e prestanti per andare veloci e lontano, oltre il semplice “fuoriporta”. Si può viaggiare per molte ore, non solo per raggiungere altre località, ma per il gusto stesso del viaggio. Lo spostamento avviene con un nuovo, confortevole mezzo, esperienza in sé mai provata prima dalle persone comuni.
L’automobile come moderno salotto dove la famiglia si ritrova unita e vicina, può parlare e commentare i sempre nuovi paesaggi offerti dal finestrino. Come ogni salotto pure l’auto viene personalizzata dagli “abitanti” nei suoi arredi con tendine e plaid a quadri, immaginette sacre o profane sul cruscotto, calendarietti e deodoranti, bambolotti e finti cani dalla testa oscillante sulla cappelliera.
La disponibilità a bordo di energia elettrica a 12 Volt alimenterà radio e mangiacassette per la giusta colonna sonora del viaggio/vacanza, piccoli ventilatori magnetici come surrogati dell’aria condizionata e, naturalmente, apposite caffettiere vincolate alla struttura dell’auto per non rinunciare al caffè di casa!
Nell’Europa continentale il “contagio” della caffettiera in auto arriva negli anni Sessanta dalla Germania (allora) Ovest con le “Auto-Kaffeemaschine” della “Paluxette” ed “Hertella” realizzate in luccicante metallo cromato per non essere da meno degli allestimenti interni di derivazione americana. Ogni pezzo dell’apparato è saldamente bloccato all’altro e il tutto al cruscotto, la presa di alimentazione è quella dell’accendisigari, il sistema di estrazione a “pressione di vapore” o a semplice “percolazione”. Il risultato in tazza doveva comunque garantire altri chilometri in piena lucidità.
Negli stessi anni in Italia le caffettiere nelle auto eleganti si chiamano “Lucciola”, che può funzionare anche alla rete elettrica di casa e “Velox”, completa di un ricco corredo di accessori.
Probabilmente i successivi Codici della Strada non avrebbero consentito tale distrazione, farsi un caffè al volante dell’auto sarebbe certamente sanzionato come mandare messaggi con lo smartphone. Il caffè al cruscotto fu una storia dalla vita breve, non ci fu neppure il tempo di perfezionare gli appositi apparati che i primi “ristori a ponte” – d’importazione americana – iniziarono a colonizzare le autostrade italiane e poi anche quelle europee, offrendo caffè e molto altro ancora.
Era stato inventato l’Autogrill: il punto “sosta caffè” per antonomasia.
Il cruscotto rimase invece per molto tempo ancora esclusivo appannaggio del magnete in finta pelle con le minifoto in bianconero di figli e santi protettori.
Dovranno trascorrere oltre cinquant’anni per arrivare ad oggi e ritrovare presentato come novità assoluta il binomio auto-caffè.
Ci riprovano addirittura in due.
La Fiat con la sua nuova 500L, pensata per gite, vacanze e caffè espresso estratto da capsule in plastica di una notissima torrefazione italiana.
La francese Handpresso, per qualsiasi altra auto e torrefazione, promette pure un espresso di alta qualità estratto alla giusta pressione da cialde in carta, in modo facile e sicuro. Per questo piccolo lusso automobilistico basta solo anticipare il prezzo dei centocinquanta caffè che non prenderemo al bar.